3° Caos Bluffare

3° Caos

Bluffare
Gutai e Shōzō Shimamoto

Ho visto l’arte dal buco

Nel 1947 quando ero alla facoltà di Lettere dell’Università del Kansai Gakuin, un giorno sono andato a trovare il preside della facoltà di Ingegneria, che era mio parente. Lì ho incontrato la signora Osumi che è un artista esponente del Salone Shinseisaku.

Nelle aule di Ingegneria erano state attaccate sue opere su tela di grande dimen- sione. Erano paesaggi il cui stile era un misto di Henri Rousseau e Marie Laurencin aggiungendo però una tattile dolcezza. Mi colpirono molto, come incontrare il primo amore. Avevo la sensazione che fosse proprio quello che andavo cercando.

Da quel giorno nella mia testa ero pieno di pensieri sulle opere della signora Osumi e, anche se non capivo bene, prendendo il pennello ho dipinto con la tecnica ad olio in uno stile più astratto dei quadri della Signora e quindi glieli ho portati. In seguito dovendo ritornare a Tokyo mi ha presentato un’altra pittrice, Masako Masuda, ma anche lei dopo un po’ è dovuta andare a Tokyo. Prima di partire mi ha presentato Jiro Yoshihara dicendo: “Shimamoto, mi sembra che a te piace molto la pittura astratta e in Kansai c’è un pittore geniale di stile astratto”.

Il modo di vedere delle opere del Maestro Yoshihara era molto diverso da quel che avevo sentito dire dai professori della scuola, dai pittori o da ciò che avevo letto dai libri.

Per esempio quando gli ho portato dei lavori fatti con molto impegno, lui non ha preso in considerazione la mia fatica. E nonostante non abbia mai studiato la tecnica accademica, lui questo non lo riteneva un fatto negativo. Allora che cosa era il suo punto di vista critico? Non si può dire altro che il termine originalità.

Il Maestro Yoshihara era Direttore di una società petrolifera quotata in borsa, quindi non aveva intenzione di prendere allievi poiché non era neccessario vivere prendendo soldi dalle quote dei discepoli. Mi ha permesso di fare parte del suo gruppo di disce- poli a condizione di fare un’opera che non sia mai stata dipinta da nessuno al mondo.

Da allora qualche volta portavo alcuni lavori che realizzavo ma il Maestro appena li vedeva diceva: ‘Questa opera somiglia a un tale artista straniero’ etc. etc., e così neanche le guardava con calma. Dopo circa un anno, un giorno il Maestro mi ha detto: “Tu mi hai promesso di dipingere un quadro che non sia mai stato dipinto da nes- suno ma ancora non lo stai realizzando. Devi smettere di dedicarti alla carriera del pittore”. Allora ho risposto, senza avere in mente nessuna idea e aspettativa, dicendo, domenica prossima lo porterò e appena sono tornato a casa mi sono messo al lavoro. All’epoca non avevo un soldo per comprare la tela, quindi come supporto incollavo i giornali con la farina cotta. Dipingevo in grandi dimensioni (160×130) e per questo motivo dovevo incollare sette, otto fogli di giornale. Quei giorni pioveva sem- pre e la colla non asciugava. Quando ho tentato di dipingere sul supporto dei gior- nali bagnati ho fatto dei buchi, e, tuttavia non avevo il tempo di rifarli di nuovo. Ero molto perplesso ma poi ho pensato che forse ancora mai nessun artista aveva realiz- zato un’opera su tela coi buchi. Così ho cambiato improvvisamente il mio atteggia- mento da insicuro e ho creato un quadro coi buchi.

Il Maestro mi ha lodato in modo eccessivo dicendo: tu sei un genio. Era il 1950.

C’è un artista italiano, Lucio Fontana che ha fatto dei buchi sulla tela. Tanta gente mi dice che forse ho imitato Fontana, tuttavia il mio supporto è di giornali e se vedi la data puoi notare che ho sperimentato queste opere prima di Fontana.

Prima delle opere coi buchi tra il ‘48 e il ‘50, ho realizzato per esempio un quadro molto grande (330×250 cm), dipinto tutto di rosso, e l’ho mandato al Salone Modern Art oppure dipingevo dei cerchi di diversi colori di diametro un metro e cinquanta su supporti lunghi più di dieci metri. Inoltre in quel periodo in cui realizzavo i buchi avevo una forte sensazione di andare avanti su una nuova via.

Quindi ero contentissimo delle parole del Maestro, di conseguenza per un mese mi sono chiuso in camera e ho realizzato tante opere coi buchi che poi ho portato da lui.

Il Maestro gli ha dato solo un’occhiata e mi ha detto: queste cose le ho già viste.

Ho dato il nome al Gutai

Per le opere coi buchi il Maestro mi aveva elogiato con entusiasmo, invece quando le ho fatte vedere agli altri artisti, a nessuno interessava. Infatti il Maestro mentre mi lodava, allo stesso tempo mi diceva: “Queste sono opere meravigliose ma non devi farle vedere a nessuno”. Io non capivo che cosa volesse dire, quindi le ho fatte vedere agli amici pittori o celebri. Ma tutti erano disinteressati e dicevano: “non vale la pena di criticare, queste sono delle cose prima dell’opera”. Ho riferito ciò al Maestro e lui mi ha detto: “Sicuramente interesseranno i critici stranieri”, e ci siamo messi d’accordo di spedire le immagini fotografiche stampate e degli scritti.

All’epoca anche la tecnica tipografica non era molto avanzata. Sono andato da un tipografo di Osaka, ho comprato le matrici di linotipia di piombo e le ho installate in una scatola di legno. Mentre con le parti delle fotografie ho composto lastre in rilievo mettendo inchiostro con il rullo, stampavo in un deposito di casa mia.

Intorno al ’52 vi erano una quindicina di discepoli di Yoshihara. Questi discepoli si occupavano di tutte le pubblicazioni, ma non essendo professionisti facevano errori. Un giorno abbiamo pensato di dare un nome al nostro gruppo e anche alla rivista. Abbiamo discusso attentamente per molto tempo, ma alla fine hanno votato quello che proponevo, col nome di Gutai. Ancor oggi parliamo spesso di quella faccenda in lungo e largo con Shinichiro Yoshihara, il primogenito del Maestro.

Il Maestro Yoshihara non faceva alcuna concessione, nella creazione delle opere dei discepoli, per quanto riguarda la sua idea di realizzare quello che nessuno aveva mai fatto e per questo motivo dieci discepoli andarono via. Tuttavia con le vivaci dis- cussioni che abbiamo fatto in quel periodo abbiamo stabilito, di conseguenza, le fon- damenta del Gutai che verrà più tardi.

Il Gutai formalmente si chiama Gutai Bijutsu Kyokai, che è ben noto fra la gente che si occupa dell’arte contemporanea. È stato pubblicato anche nell’enciclopedia francese. Inoltre in Flash Art e nella storia dell’arte degli ultimi cento anni ci sono centinaia di movimenti artistici e gruppi, ma tra questi è l’unico gruppo artistico giapponese citato. Nel 1986, quando è stata organizzata dal Centre Pompidou di Parigi Arte d’avanguardia giapponese, per la prima volta quasi metà delle opere esposte erano di Gutai. In seguito ci sono state molte esposizioni Gutai a Roma, Madrid, Belgrado, Darmstadt etc.

Alcuni studiosi dicono che tra gli artisti giapponesi che hanno influenzato gli europei vi sono Ukiyoe e Gutai. Inoltre nel 1993 siamo stati invitati alla Biennale di Venezia, Akira Kanayama, Kazuo Shiraga, Fujiko Shiraga, Yasuo Washimi, Atsuko Tanaka, Saburo Murakami, Sadamasa Motonaga, Tsuruko Yamazaki, Toshio Yoshida, Jiro Yoshihara (defunto), Michio Yoshihara ed io. Tutto questo è il risultato dell’insegnamento del Maestro Yoshihara che aveva una larghezza di vedute come gli europei quando diceva “realizzare quello che nessuno ha fatto mai”.

A proposito le prime riviste Gutai con la primitiva tecnica tipografica sono diven- tate una rarità per i collezionisti.

Il film a cui partecipa l’imperatore

Nel 1957 abbiamo pensato di fare un evento usando il palcoscenico. Ma non è che pensavamo di fare teatro o un concerto ma volevamo solo esprimere l’arte usando il palcoscenico. Il quadro è per natura una cosa statica, mentre con l’evento che abbiamo pensato, l’opera stessa diventa protagonista per cui cambia come un racconto. Così è iniziato il fatto che, per esprimere un’arte che cambia di momento in momento, sarebbe stato meglio usare il palcoscenico. Anzitutto è una prova che nessuno aveva mai fatto, quindi eravamo molto eccitati, e così abbiamo pensato e pianificato l’idea. Da allora ho esposto l’arte col palcoscenico; in uno di questi c’è un’opera in film. È un film d’avanguardia. Ma non avevo la cinepresa, né i soldi per girare in 35mm.

Avevo un amico che lavorava nella sala cinematografica e mentre parlavo con lui mi ha proposto di riciclare una pellicola 35mm lavandola con l’aceto e dipingendovi sopra. In quel periodo non esisteva il pennarello, quindi mischiando il colore con la vernice dipingevo sull’immagine di ogni fotogramma. Tuttavia non è una cosa come fare un cartone animato attuale, piuttosto erano scarabocchi dovuti al caso.

Per fare un esperimento nuovo ho preso due proiettori insieme e così ho dupli- cato l’immagine sullo schermo. Anche per la musica ho comprato un nastro regi- strato che all’epoca era una novità. Quindi vi ho inciso il rumore delle onde corte della radio e l’ho trasmesso come musica d’avanguardia insieme alle immagini. Nel giornale Mainichi del 23 novembre 1955 nella cronaca cittadina di Hanshin si scrive: “rumore di sedia trascinata o il battere del bollitore o il rumore dello scorrere dell’ac- qua, sono registrati…”. Questi rumori ora sono al Centre Pompidou.

Quel film è ormai in rovina ma l’ho custodito e restaurato in film 16mm. In anni recenti l’ho prestato ad una rivista di film d’avanguardia, che si chiama Questo è film. Un redattore, Kenichi Harada, mi ha detto che nel film si vede l’imperatore Hirohito. Io mi sono meravigliato.

Il movimento artistico Gutai eliminava tutte le idee politiche e di letteratura dal proprio lavoro e si concentrava soltanto sulla materia. Ma perchè allora c’entrava l’im- peratore? Guardando bene le pellicole mi sono ricordato che quando le lavavo con l’aceto, lo facevo in modo grossolano, quindi vi erano rimaste alcune immagini di notizie sull’imperatore. Poiché allora proiettavo con il doppio proiettore non me ne ero accorto. Nel 1957 al Sankei Hall tutti quelli che avevano visto la proiezione, com- preso me, non se ne erano accorti.

Se cammini capisci l’arte

Nel 1955 è stata fatta la Mostra sperimentale all’aperto che sfida il sole di piena estate in una pineta di Ashiya della prefettura Hyogo. Questo evento è stato come una speri- mentazione storica che oggi viene apprezzata nel mondo e l’abbiamo rifatta di nuovo in occasione della Biennale di Venezia del ’93. In quella occasione, io ho esposto una nuova arte su cui il pubblico cammina sentendola con il proprio corpo. Infatti quando il visitatore cammina sulla mia opera a volte affonda o vacilla, in questo modo sente con tutto il corpo l’andamento del tempo che continua come al ritmo della musica.

Si dice che l’arte la si deve guardare con gli occhi, la musica sentire con l’orec- chio, il cibo con il gusto, il profumo con l’olfatto. Tuttavia questa mia opera non appartiene a nessuna di queste categorie ed è una cosa da sperimentare con tutto il corpo; questo non l’ha pensato mai nessun artista.

Lo spirito del Gutai non è la perfezione stilistica. Questa è una questione della tecnica.

L’arte non deve avere regole e deve espandersi senza limiti, senza avere dubbi, assimilando ogni cosa, in questo modo si apre il punto di vista. L’opera stessa insegna l’arte all’artista, quindi è l’artista nuovo a sperimentare l’arte nuova.

Nel periodo del Gutai si aveva l’idea che l’arte non va capita pensando.

Provate a camminare sulla mia opera. Fa un rumore tremendo e così si smette di pensare.

Se vuoi capire l’arte, prima di tutto bisogna abbandonare i pensieri e saltare verso il cielo.

Allora si capisce l’arte – questo era Gutai.